Cento paesi diversi...

Scritto da  Berenice Giovannucci Vigi

Giuseppe Zola, Scena portuale con rovine, Ferrara, Collezione Cassa di Risparmio.La visione limpida e atemporale del paesaggio in Giuseppe Zola, protagonista in campo figurativo del Settecento ferrarese.

Nel 1971, in una mostra curata da Eugenio Riccomini e destinata a rimanere un punto di riferimento fondamentale per la conoscenza della cultura figurativa settecentesca a Ferrara, Palazzo dei Diamanti è stato animato dalla stimolante presenza di ben sessanta dipinti restaurati, brillantemente recuperati per dimostrare la migliore qualità esecutiva di una produzione locale fino a quel momento quasi del tutto ignorata.

Rivelando al pubblico e alla critica opere e personalità artistiche pressoché sconosciute, quali, fra gli altri, Giuseppe Zola, presente con ben venti tele di grandi dimensioni, la rassegna faceva seguito alla pubblicazione di un volume, edito dalla Cassa di Risparmio di Ferrara, realizzato dal Riccomini stesso dopo una sistematica ricerca critica sulle fonti.


Riconsegnando al patrimonio artistico della città un intero capitolo della propria storia, l'autore riuscì a individuare, lungo tutto il Settecento, i "segni sicuri che la cultura figurativa ferrarese s'era abbastanza facilmente scrollata di dosso l'opacità e il torpore che l'avevano afflitta per tanto tempo"; riuscì inoltre a mettere in evidenza le sorprendenti qualità di protagonisti come Giacomo Parolini e Giuseppe Antonio Ghedini, proseguendo l'indagine fino a delineare i contorni piacevoli e gustosi di artisti considerati forse minori, ma non meno significativi, quali Giovan Battista Cozza, Giovan Francesco Braccioli e, non ultimo, Giuseppe Zola.

Con la grandiosa mostra L'Arte del Settecento emiliano, realizzata a Bologna nel 1979, la pittura ferrarese, nonostante a mio parere non rappresentata nell'insieme IN modo adeguato e soddisfacente, si arricchì di nuovi contributi, illustrati nel catalogo, relativi al Parolini, al Braccioli, al Ghedini e anche allo Zola.

 

Paesaggio fluviale con ponti e cascata, Ferrara, Collezione Cassa di Risparmio.Alla biennale bolognese furono esposti soprattutto Giacomo Parolini, quale protagonista unico della Ferrara del primo trentennio del secolo, e Giuseppe Zola, con alcune opere di prestigio, quali il Paesaggio con l'andata a Emmaus, la Scena portuale con rovine e il Paesaggio con donna a cavallo e un viandante, prestati dalla Cassa di Risparmio. Nel 1981, poi, dopo un lavoro di ricerca sulla pittura settecentesca ferrarese, individuate un certo numero di opere significative per la conoscenza di un periodo artistico a lungo trascurato, mi è stato possibile aggiungere ancora un contributo al catalogo dello Zola, con la pubblicazione dei cinque Paesaggi del Palazzo del Municipio di Ferrara, oggi al Museo Civico di Schifanoia; paesaggi che costituiscono un gruppo di tele certamente omogeneo e rappresentano un punto qualitativamente assai alto, all'interno della vasta produzione zoliana.

Giuseppe Zola, dunque, nato a Brescia il 5 marzo 1672 e cresciuto nella bottega di orafo del padre Antonio, poco più che giovinetto sembra avere appreso i primi insegnamenti della pittura presso Giuseppe Tortelli (Chiari 1662 - ?), mediocre artista autodidatta che soggiornò a Roma e a Napoli per trasferirsi poi a Venezia, dove potrebbe aver chiamato a sé il giovane allievo.

Dalla storiografia locale non è dato sapere quando e perché lo Zola sia giunto a Ferrara ed è inaccettabile la supposizione del Riccomini che, basandosi su un errore di persona già fatto da altri, riteneva Carlo Brisighella, autore di un manoscritto su la Descrizione delle pitture e sculture che adornano le Chiese et Oratorij della Città di Ferrara, redatto negli anni 1704-1735, probabile responsabile del trasferimento del bresciano da Venezia alla città estense.

 

Paesaggio fluviale con lavandaie e un bambino, Ferrara, Collezione Cassa di Risparmio.La persona a cui Riccomini voleva far riferimento è, invece, quel Carlo Brisighella nato a Venezia e ancora fanciullo adottato dal pittore salisburghese Johan Anton Eismann, attivo nella città lagunare fin dal 1663. Alla morte del padre adottivo, il Brisighella si sarebbe trasferito a Verona, dove risulta ancora vivente  e operoso nel 1718.
Presumibilmente Giuseppe Zola è giunto a Ferrara molto giovane e qui, secondo una notizia riportata soltanto nella Guida di Francesco Avventi (1838), avrebbe iniziato un breve alunnato presso il pittore Giulio Cesare Avellino (Messina 1645 - Ferrara 1700) chiamato in città "il Messinese", artista che "ebbe ottimo gusto ne' suoi paesi e specialmente introducendovi ruine di antiche fabbriche e colonnati con gentili, ed eleganti macchiette" (C. Cittadella).

Scarse sono le notizie su questo pittore dalla vita avventurosa (dovette fuggire dalla sua città natale per una condanna, seguita da scomunica) e che aveva soggiornato a Napoli, Roma e Venezia prima di stabilirsi a Ferrara.

Fino a ora è stato possibile riconoscere con sicurezza, nelle collezioni ferraresi che il Cittadella ricorda ricche dei suoi quadri "assai stimati", solo un dipinto recante il nome dell'Avellino IN una scritta antica sul retro della tela. Il bel Paesaggio con architettura e scena mitologica, di collezione privata, corrisponde perfettamente al gusto classico seicentesco di un pittore che "era stato scolaro di Salvator Rosa, il cui stile ingentilì alquanto, e l'ornò copiosamente di ruderi e di architetture, non senza piccole figure spiritose e ben tocche" (L. Lanzi).

 

Paesaggio fluviale con lavandaie e un bambino (particolare), Ferrara, Collezione Cassa di Risparmio.Ma che la formazione artistica dello Zola debba limitarsi alla consuetudine con l'attività di un bravo mestierante quale fu l'Avellino sembra assai improbabile. In assenza di qualsiasi riferimento biografico e cronologico, ha visto bene il Riccomini ipotizzando un soggiorno dello Zola a Venezia sul finire del secolo; soggiorno necessario per poter giustificare una "tastiera culturale ben altrimenti avvertita e moderna" già consapevolmente accordata sui suggerimenti compositivi e sugli effetti pittorici dei maggiori esempi di quel genere paesistico che ormai da decenni, lungo la linea del rinnovamento naturalistico giorgionesco e tizianesco, si era andato diffusamente affermando nella città lagunare.

La storiografia locale sette-ottocentesca, davanti alla diversità qualitativa zoliana dei dipinti che ancora ornavano i salotti, le sagrestie e le chiese per cui erano stati fatti, ha semplicemente diviso in due periodi ben distinti l'attività dello Zola.

Così infatti Cesare Cittadella: "Su il principio del suo dipingere fu molto studiato, e di un sodo gusto appreso dal guardar molti bravi maestri; ma poi per soddisfare alle parecchie incombenze che venivangli addossate, non curò più tanta diligenza, e fatica, e sicuro nel tratto del suo pennello accelerò la maniera, usando nei suoi quadri maggior vaghezza di tinte".

 

 

Paesaggio fluviale con Gesù che guarisce il cieco nato, Ferrara, Collezione Cassa di Risparmio.Anche l'Ughi scrive che il pittore "diligentissimo nei primi tempi ebbe un ordine e un fare studiato, atteggiandosi a mo' de' più famosi pittori paesisti del seicento e perciò non fece subito con improntitudine e vanità mostra di piccoli quadretti lavorati senza coscienza, e riflessiva ponderazione d'artistico fondamento".
Questa divisione fra un "prima" e un "dopo" è stata ripresa dalla Calabi (1934) e di seguito dal Riccomini (1970) che ha aggiunto un giudizio critico di merito a una produzione così manifestamente diversificata, cercando di mettere a fuoco il problema prioritario del metodo di lavoro adottato dal pittore bresciano.

 

Lo Zola infatti "fu così fertile e vero nell'invenzione, che cento diversi paesi era capace d'inventare, e figurare siti naturali, che sembrano da Lui veduti, e copiati dalla natura, se bene altra sorgente non conoscevano, fuorché la feconda sua immaginazione" (C. Cittadella).

L'invenzione e l'immaginazione dell'artista appaiono influenzate da un complesso amalgama di cultura, mediato certamente dalla diffusione della grafica di genere, impastato di impressioni della tradizione paesaggistica veneziana, unite al naturalismo nordico e a quello romano. Invenzione e immaginazione che il provincialissimo Zola poteva aver coltivato anche con la normale frequentazione della famosa Galleria del cardinale Tommaso Ruffo.

Rimasto a Ferrara dal 1710 al 1738, prima come legato poi come arcivescovo, il Ruffo, nella nuova sede arcivescovile, espose una collezione di dipinti che aveva suscitato l'entusiasmo dei contemporanei. Lo Zola, come altri pittori ferraresi, ebbe familiarità con questa varia e imponente raccolta (aperta al pubblico), riportando certamente vive impressioni dalle tele di Salvator Rosa, Paul Brill, Filippo Lauri, Jean Miel e di altri.

 

Paesaggio con il riposo nella fuga in Egitto, Ferrara, Collezione Cassa di Risparmio.Alla prima maniera dello Zola, così limpida e chiara nella visione di una natura atemporale e razionalmente ricreata, così semplice e attenta nella trascrizione della quotidianità, così luminosa e vibrante nel diffondersi contrastato della luce, devono essere assegnati i paesaggi ricordati dalle fonti nei locali dell'ex Monte di Pietà.
In queste tele di largo respiro, i colori terrosi e i verdi tonali alluminati d'improvvisi bagliori, smorzati nell'impalpabile nebbiolina grigio azzurra degli orizzonti montani, si arricchiscono di un venetismo esaltato dalle suggestioni di Marco Ricci, a loro volta influenzate dalle fantasiose iconografie del Peruzzini, dal dinamismo scenografico del Tempesta e dalla lezione pittoresca di Salvator Rosa.

Così le architetture classiche in rovina, soverchiate di vigorosi cespugli, che fanno da sfondo all'incontro galante nella Scena portuale con rovine, come l'eroica presenza dei ruderi romani abbandonati in cima al colle nel Paesaggio fluviale con ponti e cascata, sono ricordo mentale dei "rottami" del Ricci.

L'atmosfera serena e pacata di una natura dilettevole, ideale spettatrice della quotidianità umana, orchestrata su piani prospettici rigorosamente definiti, che si diffonde ormai al tramonto nel Paesaggio con donna a cavallo e un viandante e nel Paesaggio fluviale con lavandaie e un bambino, sembra suggerire una affinità interpretativa con Bartolomeo Pedon, artista frequentato verosimilmente durante il soggiorno a Venezia e del quale appare pressoché identica la rassicurante solidità dell'antico borgo rurale.

 

Paesaggio con il riposo di Erminia, Ferrara, Collezione Cassa di Risparmio.Anche il bellissimo dipinto appena acquistato dalla Cassa di Risparmio, il Paesaggio fluviale con Gesù che guarisce il cieco nato, è da inserire nel contesto di queste tele per un medesimo venetismo coloristico che dilaga autunnale intorno al protagonismo solitario dell'albero, al centro del terrapieno. L'episodio evangelico, iconograficamente uguale ad altre narrazioni religiose zoliane, in cui la figura di Gesù è fatta risaltare da uno straordinario tocco di rosso della tunica, si concentra in prossimità dell'angolo inferiore destro, per lasciare spazio a una percezione del vero pacata ed elegiaca, nella limpidezza delle acque e nel trascolorare azzurrognolo di un orizzonte dalla vastità quasi laureniana.

La medesima atmosfera serena e quieta di una stagione amica si respira anche nello straordinario Paesaggio con il riposo nella fuga in Egitto, in cui lo scenario naturale zigzaga in profondità fino al picco roccioso grigio azzurro al centro di una luminosa prospettiva all'infinito.

La quinta arborea a sinistra, motivo caro al Tempesta, incombe sull'inserimento della Sacra famiglia che lo Zola descrive con intenerita semplicità nel gesto di Giuseppe inginocchiato a prendere l'acqua da una guizzante cascatella e nei due angioletti che sfamano l'asino stanco.

Di ben altro respiro spaziale il Paesaggio con l'andata a Emmaus, di una splendida qualità pittorica, in cui lo Zola sembra aver assimilato attraverso il Ricci l'aperta articolazione spaziale del Cavalier Tempesta, con i grandi alberi protagonisti della composizione e il brillante illuminismo delle "affiammingate" visioni di Paul Brill o dell'Eismann, in un medesimo rapporto paese e storia. Un vento autunnale piega il fogliame, solleva le vesti dei pellegrini, fa spruzzare contro i sassi l'acqua del torrente e va ad azzurrare di tersi riflessi le torri della borgata in lontananza, quasi a imitare l'atmosfera ventosa che spira nelle tele del napoletanissimo Salvator Rosa.

Si fa più lontano e generico il paesaggio, scenario naturale e senza tempo, razionalmente ricreato a fare da sfondo, nella storia di Giuseppe venduto come schiavo dai fratelli, nel dipinto che secondo le fonti doveva trovarsi nella chiesa di San Francesco.

Nell'intento di mettere in primo piano le figure invece della grande natura, è evidente un certo impaccio dello Zola nella definizione fisionomica e nella gestualità teatrale dei protagonisti della narrazione biblica, non privi tuttavia di una certa umana quotidianità popolare.



Paesaggio con l'andata a Emmaus, Ferrara, Collezione Cassa di Risparmio.Di ispirazione culturale assai diversa appaiono il Paesaggio con il riposo di Erminia e il Paesaggio con Erminia che scrive ti amo sull'albero, così vicini alla poetica intellettualistica di Annibale Carracci e del Domenichino, a quell'"ideale classico" di una natura placidamente spettatrice della favola, in un lirismo semplice e pacato, privo di qualsiasi enfasi eroica, nella trasposizione pittorica dei celeberrimi versi tasseschi che tanta fortuna ha avuto nella lunga vicenda figurativa dei soggetti tratti dalla Gerusalemme Liberata.
Erminia in riposo con lo scudo e il cimiero a terra; Erminia innamorata che incide la corteccia dell'albero, sempre assistita da un amorino compiacente, è inserita in un paesaggio idealmente teso a configurarsi "come un luogo riposto della quiete e felice Arcadia", in una visualizzazione ordinatamente serena e dilettevole del vero naturale.


Con impasto pittorico più greve e monotono, in una rielaborazione più schematica e accademica, lo Zola torna a raccontare la favola tassesca nel Paesaggio con Erminia che arriva tra i pastori e nel Paesaggio con il pastore e la moglie che accolgono Erminia, due tele evidentemente realizzate per essere insieme. L'arcadica pastoralità del poetico, raggiunto dalla figlia del re di Antiochia lungo un percorso evidenziato con retorica precisione, si connota qui in una sorta di realismo descrittivo, nella popolare quotidianità della sgangherata capanna da cui escono i fanciullini, un poco rigido e convenzionale.

Da assegnarsi, quindi, questi dipinti a quella seconda maniera dello Zola individuata, come s'è detto, dagli storici locali negli ultimi anni dell'attività dell'artista, quando è possibile ipotizzare un intervento della figlia Margherita, della quale il pittore era solito chiedere la collaborazione per poter più in fretta "evadere alle infinite commissioni che venivangli addossate".

Margherita Zola, morta nel 1762, è sopravvissuta molti anni al padre "del quale non arrivò al merito, quantunque cercasse seguirne le tracce, essendo la migliore sua cosa l'imitazione del di lui colorito" (G. Baruffaldi).