L'Ottava d'Oro

Scritto da  Gaetano Tumiati

La duchessa Rita Massari davanti al caminetto del suo soggiorno.Ambienti, atmosfere e personaggi legati alla celebre manifestazione ariostesca rivivono nel ricordo di un ragazzino.

Talvolta, nei miei saltuari, fuggevoli ritorni a Ferrara, amo abbandonarmi a lenti pellegrinaggi nei punti più diversi della città per rendermi conto dei cambiamenti, ma soprattutto per ritrovare scorci e atmosfere della mia giovinezza.
Molte cose sono cambiate, da allora, e tuttavia basta l'acciottolato di una via appartata o il verde di un giardino intravisto da un portone, per riportarmi alla memoria scene della mia infanzia, per far rivivere personaggi che da tempo non ci sono più.


Tipico, a questo proposito, quanto mi è accaduto qualche mese fa in un pomeriggio di pieno sole. Dalla vecchia casa di famiglia in via Palestro, ero arrivato in piazza Ariostea e mi ero spinto fino al porticato di Palazzo Rondinelli a rivedere il portone che, bambino, varcavo ogni mattina per entrare alle scuole elementari delle suore di San Vincenzo.

Poi, fatto il giro della piazza, ho imboccato corso Porta Mare fino al Parco Massari. E, lì, sono rimasto a rimirare dall'esterno i grandi cedri del Libano, i prati un po' frusti e i vialetti dove si attardavano alcuni pensionati e qualche mamma con carrozzina.

 

Uno spettacolo notevolmente diverso da quello della mia infanzia. A quei tempi, infatti, il parco, non ancora aperto al pubblico, apparteneva ai duchi Massari, proprietari dell'attiguo palazzo e di molte terre del ferrarese; il gran cancello era chiuso e nessuno poteva entrare. Ed era proprio questa inaccessibilità, per me bambino che mi aggrappavo alle sbarre, a esaltarne il fascino e il mistero. Quell'intrico di verde, quegli alberi colossali, quei vialetti senza un segno di vita erano un formidabile stimolo alla fantasia.

 

Antonio Baldini difende Angelica nel Parco Massari, durante una Ottava d'Oro.Soltanto una volta capitò che, mentre passavo lungo la cancellata, apparve una piccola, trepida macchia bianca che, a poco a poco, man mano che si avvicinava, venne prendendo forma: una bambinella, una fantolina di circa due anni che arrivò nel bel mezzo del prato e, lì, si sedette. Era, ma allora non lo sapevo, Maria Kristina Massari, figlia unica del duca Francesco e della duchessa Rita. Mi meravigliai che la lasciassero così sola, ma dopo pochi istanti fu raggiunta da una governante un po' rigida, probabilmente inglese o tedesca, anch'essa vestita di bianco.

 

Due figurette bianche su uno smisurato fondo dalle varie tonalità di verde, quasi un perfetto quadro impressionista.

 

Quanto a ricordi del parco, nella mia memoria ce n'è un altro, sempre di quegli anni, forse anche più suggestivo e più "impressionista" perché animato da una piccola folla di eleganti personaggi, stile tardi anni Venti, che si aggiravano cerimoniosi fra tavoli imbanditi, qua e là, in mezzo ai prati, come per un festa matrimoniale d'alto rango.

 

Si trattava, invece, un rinfresco organizzato in occasione di una delle tante conferenze dell'"Ottava d'Oro", famosa manifestazione culturale ariostesca che, per oltre quattro anni, dal 1928 al 1932, vide alternarsi a Ferrara grandi nomi della letteratura e della critica, da Bacchelli a Baldini, da Momigliano a Bontempelli, da Marinetti a Malaparte; fra gli altri, anche due miei zii, Domenico e Gualtiero Tumiati, in una serie di ben trentanove conferenze dedicate a illustrare i vari aspetti della vita e dell'arte di Ludovico Ariosto.

Conferenze e cerimonie che, per lo più, si svolgevano al chiuso, IN Castello o nei grandi palazzi dei Diamanti, di Lodovico il Moro, di Renata di Francia, del Paradiso; ma, talvolta, nella buona stagione, anche ALL'aperto, sulle Mura degli Angeli, nell'isola Bianca IN mezzo al Po e, per ben tre volte, al parco Massari. E fu, appunto, a una di queste tre che mio padre e mia madre, invitati, portarono me, ragazzino.

Di quale delle tre si trattava? Quella che, come risulta dagli archivi, fu tenuta da Antonio Baldini il 21 maggio 1928? Quella del professor Giuseppe Agnelli, del 16 giugno 1929? Quella di Emilio Bodrero, del 31 maggio 1931?


Il Parco Massari negli anni Trenta, durante il Palio di San Giorgio.Propenderei per quella del professor Agnelli, vecchio amico di nostro padre e degli zii, ma con un certa vergogna non posso dirmene certo perché, intento com'ero a ghermir pasticcini dai vassoi, a intrufolarmi fra ufficiali dei Lancieri in alta uniforme, eleganti signore, "notabili" in tubino, gerarchi fascisti in divisa, e, soprattutto, a scorrazzare fra aiuole e boschetti con un altro ragazzino della mia età, non mi curai né della conferenza né del conferenziere. Di tutti i partecipanti a quella fastosa cerimonia ricordo con esattezza solo una figura: quella della padrona di casa, la duchessa Rita Massari.
Non rammento se ci fosse anche suo marito, il duca Francesco, che era solito passare lunghi mesi in Africa, impegnato in partite di caccia grossa.

 

Ma, fosse o non fosse presente, ai miei occhi ogni altra figura fu relegata in secondo piano e soverchiata da quella dominante di lei. Alta, slanciata, allora nel pieno della sua bellezza bruna, elegante di un'eleganza regale, emergeva su tutti ricambiando con misurato calore saluti e sorrisi.

Gli ufficiali dei lancieri, nell'avvicinarsi a lei, portavano la mano alla visiera e sbattevano leggermente i tacchi, facendo tinnire gli speroni; i notabili si scappellavano con largo anticipo; i gerarchi fascisti scattavano nel saluto romano, un gesto abbastanza consueto, ma che in quella circostanza, davanti a lei che protendeva il braccio per il rituale baciamano, risultava del tutto fuori luogo.

Quella prima volta passarono quattro o cinque anni, prima che potessi rivedere la duchessa. E fu in uno scenario molto più caldo e raccolto, nel bel palazzetto settecentesco adiacente al vecchio palazzo, e addirittura alla sua tavola, insieme ai miei genitori. In quel lungo intervallo erano successe molte cose: il duca Francesco era morto; la duchessa aveva affidato a nostro padre, avvocato, i problemi della successione; i contatti con la nostra famiglia si erano fatti più frequenti; fra lei e nostra madre era nata, a poco a poco, una sincera amicizia, dovuta anche al fatto che erano entrambe toscane.


Maria Waldman, cantante lirica e moglie di Galeazzo Massari.Ma io, mio fratello e le mie sorelle eravamo rimasti estranei a quel sodalizio, tanto che fui molto sorpreso il giorno in cui la duchessa, nell'invitare a cena nostro padre e nostra madre, aggiunse che, magari, avrebbero potuto portare anche il loro primogenito ormai quindicenne. Il ricordo di quella serata è fra i più vivi: la carrozza che, nonostante la brevità del tragitto, nostra madre mi mandò a prendere in piazza Teatini, perché minacciava pioggia; il clòppete clòppete degli zoccoli sull'acciottolato; l'arrivo al palazzetto; il cameriere Emilio, in giacca bianca con bottoni d'oro, viso nordico come intagliato nel legno, che ci attendeva su, al termine della scala. E, entrati, l'ovattata, aristocratica raffinatezza dell'ambiente.



Quelle stanze non grandi, dai soffitti relativamente bassi, erano come giganteschi cofanetti ricolmi di oggetti preziosi: tappeti che spegnevano il rumore dei passi, tappezzerie rare alle pareti, mobili d'epoca, quadri antichi, lampadari di Murano a più braccia e, dappertutto, disseminati su ogni superficie piana, vasetti di maiolica, calici di cristallo, astucci e altri ninnoli alternati a fotografie, grandi e piccole, incorniciate d'argento.

La nostra vecchia, amatissima casa di famiglia in via Palestro non reggeva il confronto. Certo, aveva anch'essa un'infinità di stanze, alcune delle quali più vaste di quelle del palazzetto, anche da noi c'era qualche mobile d'epoca, qualche quadro d'autore - fra l'altro un De Pisis e un Grubicy di cui nostro padre andava orgoglioso; ma tutto in fraterna convivenza con vecchi tavolini traballanti, armadi che non chiudevano bene, scaffali di legno dolce carichi di libri.

E, sotto, i pochi tappeti, le grandi piastrelle di cotto verniciate testa di moro, consunte dall'uso, rivelavano, qua e là, la loro intima struttura color mattone. Il motto di famiglia, coniato da nostro padre, era: il poco è ciò che appaga.

Differenza netta, dunque, soprattutto considerando l'aspetto del salotto della duchessa, animato dalla gran fiamma di un caminetto di marmo sul quale, fra due vasi cinesi, spiccava la statua di un amorino.


Una foto di Giuseppe Verdi, con dedica autografa a Maria Waldman.Di fronte al caminetto, un grande divano di cuoio rosso capitonné e una poltrona, anch'essa di cuoio rosso; dalla parte opposta, altri divani e un pianoforte a coda su cui, incorniciate d'argento, poggiavano la foto del duca scomparso - occhi chiari, lineamenti da vichingo - e una di Giuseppe Verdi con dedica autografa alla madre del duca, Maria Waldman, cantante viennese, stimatissima dal maestro, in occasione del matrimonio di lei con Galeazzo Massari: "A Maria Waldman. E nel cambiar fortuna, non cambi il suo cuore d'artista; né dimentichi Aida, la Messa e l'amico sincero, Giuseppe Verdi. Parigi, 9 giugno 1876."

A dissipare il leggero imbarazzo che provavo in quell'ambiente - fra l'altro ero appena uscito da un severo collegio fiorentino retto da religiosi - provvide la duchessa in persona.


La sua figura, sempre elegante e imponente come l'avevo vista alla gran festa dell'"Ottava d'Oro", osservata da vicino mentre conversava con mia madre davanti al caminetto, veniva a poco a poco assumendo un aspetto diverso.

Avevo come l'impressione che, al calore insospettato della sua voce, dei suoi sguardi, dei suoi gesti, la sua "regalità" venisse via via ammorbidendosi e quasi sciogliendosi come cera, lasciando lentamente emergere una nuova personalità, sempre controllata, ma molto più duttile e umana.

In particolare il suo viso si accese di affettuoso orgoglio quando, poco prima di cena, accompagnata da una governante, fece una breve apparizione, IN pigiama, sua figlia Maria Kristina, elegante virgulto di circa sei anni, che dette a tutti un'educata "buona notte", suscitando un'ondata di complimenti.

 

Gli arredi di Palazzetto Massari.Un'ombra di imbarazzo tornò, tuttavia, a riaffiorare in me, quando ci trasferimmo in sala da pranzo e ci mettemmo a tavola. Non tanto per la ricchezza delle tovaglie, lo splendore delle cristallerie e la raffinatezza dei cibi - brodi ristretti, vol au vent, soufflé, fricassee - quanto per alcuni particolari per me del tutto insoliti: il fatto, per esempio, che a capotavola non ci fosse, come sempre, nostro padre, bensì la duchessa; o che il cameriere Emilio, nel suo compassato andirivieni dal passavivande al tavolo, rivolgendosi di tanto in tanto alla padrona di casa, la chiamasse "Eccellenza"; o, infine, che, a pranzo ultimato, considerato l'apprezzamento generale, la duchessa, accostando appena i palmi delle mani, desse il via a un applauso generale diretto alla cuoca Amalia che, dopo qualche esitazione, presentò il proprio volto timido e sorridente nel gran rettangolo del passavivande, ringraziando come a teatro.

Quei riti, per noi insoliti, sorpresero anche le mie sorelle e mio fratello, quando nei mesi successivi l'invito fu esteso anche a loro; ma, mentre le due ragazze riuscirono sempre a comportarsi correttamente, senza alcuna reazione di meraviglia o di ironia, mio fratello Francesco, più vivace e anticonformista di noi, ogni tanto si lasciava sfuggire qualche battuta, magari osava fare il verso al cameriere Emilio quando diceva "Eccellenza". Non so se la duchessa se ne accorgesse, in ogni caso non dava segni di risentimento, anzi, non perdeva occasione per elogiare l'estro e lo spirito di "quel bambino eccezionale" e per rinnovarci gli inviti al Parco di Porta Mare o a quello, altrettanto fascinoso, della villa Massari a Voghenza.

Fra le altre, ricordo la festicciola, ristretta alla nostra famiglia, che volle dare quando, qualche anno dopo, superai l'esame di maturità. Alla fine del pranzo, ancor prima dei brindisi, volle che Emilio le consegnasse il tappo della bottiglia di champagne e se lo mise nella borsetta. Pochi giorni dopo me lo vidi recapitare, trasformato in sigillo d'argento, con incise le mie iniziali.

Gli arredi di Palazzetto Massari. Da quei tempi sono passate due generazioni, quasi tre. Quella di mio padre, di mia madre e della duchessa è scomparsa; la mia conta su un numero sempre più ridotto di superstiti; la villa di Voghenza è passata attraverso diverse proprietà; miglior sorte è toccata al palazzo e al palazzetto, acquistati dal comune e trasformati in prestigiosi musei.
Della famiglia dei duchi rimane Maria Kristina, la "fantolina seduta sull'erba", l'esile figura della "buona notte" in pigiama: oggi, è una signora non più giovane, ma dotata di straordinaria energia, che ha ereditato dalla madre lo slancio e l'eleganza e dal padre l'azzurra fermezza dello sguardo. Vive, tutta sola, a Milano, dove è ben nota per i suoi reportage fotografici dalla Cina e da altri lontani paesi.

E gli oggetti? A parte i quadri di maggior pregio, saggiamente acquistati dalla Cassa di Risparmio di Ferrara e in  bella mostra a Palazzo dei Diamanti, di tutti gli altri, dispersi in cento rivoli, ignoro la sorte. Conosco soltanto quella della poltrona di cuoio rosso che nel palazzetto stava accanto al caminetto di marmo.

Lasciata da Rita Massari a nostro padre, dopo la morte di lui è finita nel mio soggiorno milanese, riservata, teoricamente, soltanto a me.

Ah, dimenticavo! In fondo al cassetto della mia scrivania, In una gran confusione di biro, matite, fermagli, puntine da disegno, c'è anche, trascurato e annerito dal tempo, il tappo di champagne trasformato in sigillo d'argento. Ma chi mai, oggi, per chiudere bene una lettera, ricorda ancora i sigilli? Chi usa più la ceralacca?