"Historia non facit saltus" e tanto meno all'indietro, si dirà, messi di fronte alla fortunata missione commissionataci dalla Fondazione e dalla Pinacoteca di Palazzo dei Diamanti, di cui si inaugurava allora la squisita direzione di Grazia Agostini. E tuttavia, dopo aver reinterpretato il gran secolo della Rinascenza estense, come ci avevano consentito Jadranka Bentini e il progressivo lavoro dell'Istituto di Studi Rinascimentali, avvertimmo tutti che il 1598 e l'arrivo tanto spietatamente pianificato da Clemente VIII e dal nipote Pietro si erano ormai posti davanti a noi con la durezza di un ostacolo insormontabile posto di traverso a un legittimo progresso della storia: e soprattutto della storia delle forme ferraresi.
Ci attendevano dunque due secoli e più di inerte silenzio disteso su una città della quale i viaggiatori restituivano ritratti e paesaggi come quelli di un veliero dentro la bottiglia: strade meravigliose vuote, palazzi indicibili chiusi, chiese e oratori di superba bellezza disertate.
Noi ci domandammo chi avrebbe mai saputo ripercorrere con l'immagine della mente le ricchezze figurative d'una città meravigliosa che forse soltanto le cronache di sepolti archivi avrebbero potuto far rivivere. Ma anche queste tacevano, come pure la straordinaria narrazione di Sabadino degli Arienti - lo specialista delle corti padane - che nel suo De Triumphis Religionis doveva tanto più tardi narrarci, per merito di W. Gundersheimer, la bellezza d'ogni frammento architettonico e pittorico di Ferrara e delle sue "delizie" messe in technicolor per un film necessario.
Ecco, dall'altro lato dell'avventura, tre secoli dopo, c'era il bastone di lord Eastlake che batteva sull'acciottolato delle strade di Ferrara già oltre la metà dell'età romantica, a pochi passi dall'unificazione plebiscitaria italiana. La riscoperta della scuola di Ferrara è questione assolutamente albionica, condotta a fianco dei forti amori di Dante Gabriel Rossetti e di William Morris.
Le loro impegnative signore, come Elizabeth Siddal e le altre, prenderanno infatti ad assomigliare soltanto alle dame di Schifanoia. Anche Adolfo Venturi, che resta comunque il grande riscopritore nel profondo degli archivi estensi di Modena della lontana voce di Ferrara, si servirà di Londra per veder la scuola dei nostri grandissimi e modernissimi Cosmè, Cossa ed Ercole, riemergere nella luce del nuovo vettore della storia, e cioè il museo. Più precisamente, della più moderna tra le gallerie nazionali, quella nata per l'estetica della rivoluzione industriale, in mezzo a Londra, in Trafalgar Square.
Ecco, la Leggenda del collezionismo voleva solo render conto di un percorso carsico, spesso nascosto e altrettanto sorprendente, che il collezionismo è costretto a percorrere nei tempi della storia assente.
Lo stupore è lo stesso, che in Palazzo dei Diamanti e in quella animatissima occasione prese forma per volontà effettiva della Fondazione, ci afferra ogni volta che leggiamo come in Venezia, almeno un secolo prima, l'abate Lodoli collezionasse Giovanni Bellini e Antonio Vivarini, Cima e Carpaccio.
Che anticipo di gusto e di cultura, direte. Ma poi si sente sul fondo la voce del pur modernissimo abate Lodoli che ci avvertiva: "Ma non possedevo uno scudo, dovevo dunque accontentarmi di acquistare quadri vecchi...".
Dentro la Leggenda di Ferrara si potrà collocare anche l'avventura singolare e meravigliosa della Collezione Prosperi Sacrati: anzi di quella che a Firenze, per chiarire, chiamano ancora la Collezione Sacrati Strozzi. Come se di Strozzi fiorentini si trattasse, anziché padani e mantovani. Il vincolo dello Stato italiano giovò alla sua riemersione dal profondo, vennero alla luce i pezzi favolosi dello Studiolo delle Muse che soltanto i grandi storici avevano visto ottenendo di visitare la raccolta quando era effettivamente depositata in Firenze.
Ma non credo che ora si debba tornare in queste pagine a descrivere una collezione che da anni sta esposta - proprio dopo che togliemmo il velo alla Leggenda di Ferrara - nelle sale stesse del Palazzo dei Diamanti, insieme alla raccolta dei dipinti della Cassa di Risparmio: un sinecismo museografico di alta levatura, una conurbazione virtuosa.
"Dovitiae pictae dello Stato e della Cassa osculatae sunt!" Questo è un modello di collaborazione che nessun decentramento conosce.
Da questa congiuntura intelligente ed etica, Palazzo dei Diamanti è uscito con l'aspetto e la sostanza di una grande galleria. Sarebbe anche ora di prenderne coscienza e di dotare questo servizio pubblico di un parco attraente, di depositi e di laboratori opportuni, di una biblioteca e di una fototeca degne di questo nome. E di Ferrara.
L'acquisto della Prosperi Sacrati, ebbe luogo per la mediazione indiscutibile di Luigi Covatta. E prese corpo davanti al tavolo del singolare ministro Alberto Ronchey, al Collegio Romano. Fu il dado tratto dalla Cassa di Risparmio ferrarese che consentì di parlare davanti a lui, che starnutiva per un raffreddore da fieno ed era d'umore malinconico, per dirgli letteralmente che si sarebbe fatto a metà per l'acquisto di questa mirabile collezione. Parti eguali tra Stato e Cassa di Risparmio.
Vorremmo ricordare proprio questo momento rievocando la simpatica ironia di un ritratto amico, il ruolo determinante di Silvio Carletti. Insieme agli altri rari protagonisti delle fortune collezionistiche ed espositive ferraresi, Carletti promise cordiale l'intervento della Cassa. E Ronchey si comportò da par suo, saldando le due parti della mela. Dal fondo dei protocolli di Signoria, qualcuno avrebbe potuto tornare a esclamare: "A tout Seigneur, tout Honneur.".
La Leggenda di Ferrara e del suo grande ritorno alla vita stava prendendo così corpo. D'ora in poi, ogni manifestazione, ogni ricerca avrebbe potuto scavare dentro i secoli oscuri e muti per ritrovare altre parti di quella volontà di bellezza e di civiltà che era stata sommersa quel giorno del 1598 nel quale Clemente VIII e tutto il suo seguito di cardinali collezionisti, a cominciare dal nipote Pietro (che vuotò il Camerino di Alfonso I) per seguire con i Borghese, i Barberini e i Bentivoglio, chiuse i portoni sulla vitalità d'un grande centro della cultura della Rinascenza, portandosi via le mirabilia urbis.
Per fortuna, la Leggenda ferrarese continuava a pulsare grazie ai grandi Primitivi e ai grandissimi Antichi. Prima o poi, sarebbero venuti alla luce.
Mirabilia urbis
Scritto da Andrea EmilianiDentro la Leggenda di Ferrara l'avventura singolare dei suoi tesori.
Quella che chiamammo la Leggenda del collezionismo a Ferrara nella Rinascenza risponde a una realtà invitante e suggestiva che ci venne fatto di individuare di fronte a un compito tanto vasto quanto difficile. Dietro questa titolazione evocativa si nascondeva, infatti, la raffigurazione di uno spazio temporale immenso, apertosi alla sparizione di un galeone carico di meraviglie nel profondo dell'oceano: e al suo ritrovamento alcuni secoli più tardi.
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Num. 16