Ne discende che la maggiore divulgazione della musica afroamericana sia avvenuta nella seconda metà del secolo scorso, quando coesistevano stili diversi ed era possibile assistere in diretta alle invenzioni artistiche di musicisti come Louis Armstrong, Duke Ellington, Thelonius Monk e Miles Davis, veri e propri capitoli di quella che oggi è diventata la storia del jazz. Questa naturale ricchezza di interpreti ha permesso al jazz di diffondersi nel mondo e di annullare distanze fisiche e culturali. Nella sua espansione è presto approdato in Europa e, in Italia, la terra emiliana si è mostrata subito sensibile alle istanze che provenivano da oltre Atlantico.
In particolare Bologna è assurta nel dopoguerra ai più alti fasti jazzistici, tanto da essere definita 'città del jazz'.

Non è questa la sede per affrontare una ricerca di carattere storico, anche perché rischierei di essere inesatto e di omettere, senza colpa, il nome di molti di quei pionieri illuminati.
Mi limito pertanto alla storia più recente, di cui ho conoscenza diretta, e che permette comunque a Ferrara di ottenere le credenziali per sentirsi vicina a New Orleans in questo triste frangente.
Come si diventi appassionati di jazz è un quesito a cui è difficile dare risposta.
Nonostante quanto asserito a proposito dell'importanza storica e del significato universale di questa musica, data la sua totale assenza dai palinsesti televisivi e radiofonici e restandole solo riservato un timido sottofondo nell'ascensore di qualche albergo di lusso, l'approccio al jazz avviene sempre in modo del tutto individuale e spesso casuale.
A chi mi sollecita a dargli indicazioni su come avvicinarsi al jazz, dopo averlo fornito dell'immancabile lista dei dischi da avere a tutti i costi, mentre gli impartisco la mia personale benedizione, lo avverto che però tutto dipende dalla sua sensibilità.
Niente di più facile che l'aspirante neofita, pur ben disposto, non trovi la via di entrata.
Personalmente ho avuto la fortuna di avere un cugino, grande cultore di jazz, che propose a me quindicenne l'ascolto dei suoi dischi favoriti, cercando di cogliere un cenno di interesse da parte mia.
Dal dixieland al cool, dal bebop allo swing, dai brani più orecchiabili a quelli più astrusi, quanti dischi venivano collocati su quel piatto, nella speranza che la scintilla scoccasse! Dopo diverso tempo ecco che un pomeriggio fui io a chiedergli di mettere su un disco che mi aveva particolarmente colpito, Time Out di Dave Brubeck, e da quel momento fui catturato. Avevo varcato l'uscio giusto e fatto il mio ingresso nel mondo del jazz.

Vi risparmio la descrizione dei patemi nell'affrontare il problema di come far diventare di carne e ossa quei musicisti che per me esistevano solo sui dischi, ma, alla fine, il concerto ci fu (26 Aprile 1977 - Marco di Marco - Chris Woods Quartet) e in mezzo al pubblico erano presenti anche gli appassionati ferraresi che avevano dato vita ai sodalizi jazzistici degli anni sessanta.
Bastò quel concerto perché il sacro fuoco, che covava sotto la cenere della delusione, tornasse per loro a divampare e così, unendosi alle nuove generazioni, in quel momento rappresentate unicamente dal sottoscritto, Giordano Balboni, Gino Neri, Franco Esposito, Federico Garberoglio, Pasquali Piganti, Glauco Farinella, Toto Delicato, già protagonisti delle precedenti esperienze, decisero di ripartire.
Nacque quell'anno il 'Circolo Amici del Jazz', supportato a livello di stampa dall'autorevole firma dell'amico Mirto Govoni, che, dalle colonne del 'Carlino', non mancò mai di sostenere l'attività del Club. Giordano Balboni, di cui mio cugino mi aveva sempre parlato con sacro rispetto, era la punta di diamante del Circolo, viste le sue doti di musicista, la profonda conoscenza della musica afroamericana, le capacità organizzative e la disponibilità a profondere energia per la causa. Fondamentale era per lui far rinascere una band, e così successe.
L'anno seguente prendeva vita la 'Roaring Twenties Jazz Band', che colse meritatissimi successi fino all'immatura scomparsa del leader.

La 'Band' decise poi di fare vita propria e il 'Circolo', nel frattempo diventato 'Jazz Club Ferra', andò per la sua strada con altri nuovi amici ad affiancarmi: Augusto Mantovani, Emanuele Rossi, Sergio Formignani, Franco Bilancioni, Corrado Marescotti, Franco Mantovani, Giuseppe Dia, Bruno Bortolotti, Giorgio Caravita e via dicendo.
Negli anni successivi, pur con i suoi alti e bassi, l'attività non cessò mai e il Club diventò una realtà sempre più presente nella vita culturale ferrarese, facendosi conoscere prima a livello nazionale e poi addirittura fuori dai patri confini.
Non è possibile qui ricordare tutte le rassegne e i festival organizzati e sono troppi i momenti indimenticabili, le attese dei grandi incontri, le sensazioni umane e musicali provate.
Per tutti, vale la pena di soffermarsi sull'esibizione, per la prima volta in Italia e in esclusiva nazionale, di Art Pepper, che illuminò l'edizione 1980 degli 'Incontri Jazz Comaccho', realizzati grazie alla lungimiranza di Mario Roffi, indimenticato uomo di cultura, che appoggiò incondizionatamente la proposta del Jazz Club Ferrara di portare le note blues sul nostro litorale.
Quella sera tutta la stampa nazionale, specializzata e non, era schierata attorno al palco dei Trepponti e ancora oggi quel concerto è stato ricordato, con intatta emozione, da Franco Fayenz sulle pagine di Amadeus. E ancora, quante collaborazioni con Teatro Comunale, Comune, Provincia e Ferrara Musica, con risultati epici come il gemellaggio con la Carnegie Hall e relativo party in onore di Ferrara all'interno del mitico Teatro di New York.
Quando poi scorro l'elenco dei musicisti intervenuti alle centinaia di concerti organizzati dal Club, mi sembra veramente di leggere l'enciclopedia del jazz.
Da Dexter Gordon a João Gilberto, da George Benson a Winton Marsalis, da Dizzy Gillespie a Elvin Jones, da McCoy Tyner a Miles Davis, da Chet Baker a Billy Higgins: insomma tutti, tutti i grandi sono venuti nella nostra città. E fra i grandi occupa un posto tutto suo Alberto Alberti, amico insostituibile e considerato da tutti noi appassionati e organizzatori 'il jazz in Italia'.
Da sette anni finalmente il Club ha una sua sede fissa, il prestigioso Torrione San Giovanni, già fortificazione estense ai tempi di Ercole I D'Este, all'interno del quale, grazie all'appoggio del Comune di Ferrara, della Fondazione Cassa di Risparmio di Ferrara e della Cassa stessa, gli oltre duemila soci possono fruire di circa novanta concerti annuali, che trovano svolgimento dai primi di ottobre a fine aprile.
Il Club è oggi considerato, per qualità delle proposte e per l'unicità della cornice in cui si svolgono i concerti, fra i primi cinque in Italia. Ed è nostro vanto, fra le altre cose, non soffrire più di complessi d'inferiorità nei confronti della titolatissima Bologna.
Per tutti questi motivi, quando ci è stata data la possibilità di soccorrere i musicisti che abitano e lavorano a New Orleans nel loro sforzo di ricostruirsi una vita normale, tenuto conto che lì la musica dava lavoro a tanti, ci siamo sentiti toccati in prima persona. Dopo la grande manifestazione 'S.O.S. New Orleans' che ha coinvolto l'intera città lo scorso dicembre, per tutto il 2006 verranno organizzati altri momenti di raccolta dei fondi e sarà sempre possibile effettuare dei versamenti sul c.c. n° 3600/6 presso l'Agenzia 9 della Carife, ABI 06155-CAB 13009 intestato a 'Ferrara per New Orleans'.
Lasciatemi concludere con un auspicio.
Speriamo che questo mondo, così tormentato e chiamato ad affrontare sfide impossibili, non sappia mai fare a meno di un blues intonato dalla voce lacerante del sassofono di Charlie Parker o di una ballad di Bud Powell, intrisa di tutta la malinconia che può esprimere la nostra vita.