Visto da fuori
Scritto da Vittorio Emiliani
Vittorio Emiliani, nato in Romagna nel 1935, ha abitato a Copparo, fra il 1948 e il 1954, frequentando a Ferrara il Liceo 'L.Ariosto'. Trasferitosi in Lombardia, ha cominciato collaborando a Comunità, Mondo ed Espresso. E' stato poi redattore e inviato del 'Giorno', compiendo per questo quotidiano numerosi servizi e inchieste sulla realtà emiliana e ferrarese. Lavoro di indagine e di racconto che ha proseguito, dal '74, al 'Messaggero' che ha poi diretto dall'80 all'87. Deputato nella XII legislatura, è stato consigliere della Rai dal '98 al 2002. Fra i suoi numerosi libri, 'L'Italia mangiata. Lo scandalo degli enti inutili', 'Gli anni del Giorno, il quotidiano del signor Mattei, 1956-1972' , 'Se crollano le torri. Beni e mali culturali', 'I tre Mussolini', 'Benedetti, maledetti socialisti', 'Affondate la Rai. Viale Mazzini prima e dopo Berlusconi'.
Collabora a giornali e riviste. Nel 2005 ha scritto l'introduzione al catalogo della Mostra dedicata alle splendide fotografie di Walter Valli di Comacchio nei primi anni '50, 'Ieri il Delta'. Ha ricevuto da Giorgio Bassani nel 1984 il premio intitolato ad Umberto Zanotti Bianco fondatore di Italia Nostra.
Collabora a giornali e riviste. Nel 2005 ha scritto l'introduzione al catalogo della Mostra dedicata alle splendide fotografie di Walter Valli di Comacchio nei primi anni '50, 'Ieri il Delta'. Ha ricevuto da Giorgio Bassani nel 1984 il premio intitolato ad Umberto Zanotti Bianco fondatore di Italia Nostra.
L'articolo vuole ricordare l'amore Vittorio Emiliani ha sempre mantenuto per Ferrara, ove ha frequentato il Liceo Ariosto, dopo aver abitato dal '48 al '54 a Copparo. Le varie importanti attività, giornalista sino ala direzione del Messaggero, Deputato, Consigliere della Rai, scrittore di vari libri quindi l'importante introduzione del recente libro 'Ieri il Delta'.
Nelle grasse campagne della bassa Lombardia, in quelle cascine antiche, grandi come un borgo fortificato, trovavo spesso salariati provenienti dal Delta ferrarese, da Codigoro per esempio, magari ex assegnatari che non erano riusciti a mantenere la loro piccola azienda e lavoravano lì da operai agricoli. Insieme ai colleghi della sponda veneta, ai polesani, fuggiti dopo la rotta di Occhiobello.
Alla Fiat Mirafiori incrociavo sovente, nelle mie inchieste sindacali, altri ferraresi emigrati a Torino in cerca di un lavoro stabile e remunerativo, qualcuno, ricordo, aveva messo su una cooperativa di consumo. C'era anche Canzio Cirelli, di Copparo, col quale avevo corso una staffetta 4 x 800 su strada e lui mi era scappato via, da vecchia volpe delle piste, dandomi venti metri: per riacchiapparlo avevo sputato l'anima vedendo, alla fine, tutto nero. Ma lui, a Torino, non lo incontrai.
Ritrovai invece uno dei compagni del treno che ci portava a Ferrara alle scuole superiori, Bruno Balli, attivo sindacalista della Uil Metalmeccanici, il quale mi spiegò cose assai interessanti durante l'autunno 'caldo' del '69. Per esempio, il continuo turn-over di tesserati, che rendeva complessa l'organizzazione in quel colosso da 60.000 dipendenti nei tre turni.
Racconto questi episodi perché Ferrara e il suo territorio rappresentavano in quel periodo a cavallo degli anni '50 e '60 il punto più debole dell'economia regionale avviata, per il resto, a un vero e proprio boom, industriale e terziario. Il porto e la chimica a Ravenna, la meccanica a Reggio, l'alimentare e altro a Parma, come a Modena, provincia di punta con le piastrelle, assieme a Bologna. Forlì, che col ventiquattrenne Luciano Lama segretario della Camera del Lavoro, nel 1945, contava ben 150 mila braccianti iscritti, si stava sviluppando. Ferrara e pure Piacenza stentavano. La prima per il sovraccarico di manodopera bracciantile non qualificata che non trovava sbocchi locali. Nell'Emilia-Romagna collinare della mezzadria la pianta-imprenditore attecchiva meglio.
Alla Fiat Mirafiori incrociavo sovente, nelle mie inchieste sindacali, altri ferraresi emigrati a Torino in cerca di un lavoro stabile e remunerativo, qualcuno, ricordo, aveva messo su una cooperativa di consumo. C'era anche Canzio Cirelli, di Copparo, col quale avevo corso una staffetta 4 x 800 su strada e lui mi era scappato via, da vecchia volpe delle piste, dandomi venti metri: per riacchiapparlo avevo sputato l'anima vedendo, alla fine, tutto nero. Ma lui, a Torino, non lo incontrai.
Ritrovai invece uno dei compagni del treno che ci portava a Ferrara alle scuole superiori, Bruno Balli, attivo sindacalista della Uil Metalmeccanici, il quale mi spiegò cose assai interessanti durante l'autunno 'caldo' del '69. Per esempio, il continuo turn-over di tesserati, che rendeva complessa l'organizzazione in quel colosso da 60.000 dipendenti nei tre turni.
Racconto questi episodi perché Ferrara e il suo territorio rappresentavano in quel periodo a cavallo degli anni '50 e '60 il punto più debole dell'economia regionale avviata, per il resto, a un vero e proprio boom, industriale e terziario. Il porto e la chimica a Ravenna, la meccanica a Reggio, l'alimentare e altro a Parma, come a Modena, provincia di punta con le piastrelle, assieme a Bologna. Forlì, che col ventiquattrenne Luciano Lama segretario della Camera del Lavoro, nel 1945, contava ben 150 mila braccianti iscritti, si stava sviluppando. Ferrara e pure Piacenza stentavano. La prima per il sovraccarico di manodopera bracciantile non qualificata che non trovava sbocchi locali. Nell'Emilia-Romagna collinare della mezzadria la pianta-imprenditore attecchiva meglio.
![Col regista Leandro Castellani, uno specialista, girammo lungamente [...] lungo il percorso delle Mura che venivano restaurate con cura esemplare grazie ad un finanziamento del FIO (Fondo Investimenti Occupazione) e del Comune.](/images/stories/24/da_fuori/thumbnails/thumb_24_59_big.jpg)
Partirono pure le lottizzazioni turistiche dei Lidi Ferraresi, trenta-quarant'anni dopo la Romagna che aveva però il vantaggio di avere alle spalle dei suoi vasti arenili città vere come Rimini e Ravenna, o cittadine quali Cattolica, Riccione, Cesenatico, Cervia. Nei nostri articoli ci auguravamo che gli aspetti negativi dello sviluppo tumultuoso della Romagna potessero essere evitati. Ma la storia, come dice Hegel, non insegna nulla, né ai governanti, né ai governati. Tranne che al Lido di Spina, e poco oltre, il cemento poté dilagare incoraggiato da piani regolatori a maglie molto larghe e dalla spinta di una fame ancora recente. Dall'alto di un piccolo aereo da turismo che un anziano pilota (forse dell'éra di Balbo, mi interrogavo) conduceva, su e giù, fra Ravenna e Venezia, salendo dal Lido di Volano, potei constatare i guasti diffusi. Certo, portarono reddito i Lidi, ma tutto poteva essere pianificato in modo più appropriato, con un uso più preveggente delle risorse.
Mi capitò di occuparmi, per la prima volta, nel 1972, di un Parco del Delta, o meglio della salvezza, allora, del meraviglioso Boscone della Mesola. Eravamo in quattro o cinque inviati, i soliti, Antonio Cederna per il Corriere della Sera, Mario Fazio per La Stampa, io per Il Giorno, Vito Raponi per L'Avanti!, a Pomposa, presso il mirabile complesso abbaziale, per un convegno di 'Italia Nostra'. Stavamo chiacchierando con Giorgio Bassani, allora presidente nazionale, quando ci venne data con qualche allarme la notizia che era partita da Goro una marcia di pescatori e di aspiranti-lottizzatori diretta minacciosamente, sia pure a mani nude, contro quella riunione convocata a difesa dell'ambiente del Delta.

Tant'è che, qualche tempo dopo, numerosi giornalisti italiani e stranieri poterono essere guidati a visitare quella lecceta estense rimasta completamente integra. In quello stesso torno di tempo, avendo spesso scritto delle bonifiche più recenti, fatte con le idrovore, che avevano prodotto terreni, per migliaia di ettari, assai poco produttivi e non più richiesti una volta finita la 'fame di terra', lanciammo l'idea di recuperare le Valli partendo da quella strategica della Falce. Cominciava anche la lunga marcia verso il Parco del Delta, del quale molto mi occupai più tardi, da parlamentare, nel 1994-95. Parco che avremmo voluto prima Nazionale e poi Interregionale, e che venne creato poi separatamente dalle Regioni delle due sponde. A fatica prendeva piede un discorso sull'ambiente quasi inimmaginabile trent'anni prima. A fatica, e però prendeva piede. Nonostante l'opposizione di chi sognava una seconda Albarella più a sud o di chi guadagnava tanti bei soldi, ma tanti, con la caccia in botte.
A Ferrara sono poi tornato, per la televisione, nel corso di una grande inchiesta nazionale di Raidue (altri tempi) sui beni culturali: col regista Leandro Castellani, uno specialista, girammo lungamente dentro il convento di clausura di Sant'Antonio in Polesine e soprattutto lungo il percorso delle Mura che venivano restaurate con cura esemplare grazie ad un finanziamento del FIO (Fondo Investimenti Occupazione) e all'impegno del Comune. Premessa del futuro Parco del Po, dalla città al grande fiume.
La città, sindaco Roberto Soffritti, vice-sindaco Silvio Carletti, mio compagno di Liceo all'Ariosto, si stava qualificando, col concorso decisivo della Cassa di Risparmio, come città d'arte e di cultura. Era pure un riscatto dal complesso di inferiorità di cui tanto aveva parlato Giorgio Bassani rispetto a Bologna e anche a Padova. Che per decenni l'avevano come compressa. Tornai allora, ripetutamente, per le mostre di Ferrara Arte dell'amico (dai tempi di Bologna e poi della Casa Einaudi) Andrea Buzzoni e per le smaglianti stagioni di Ferrara Musica che al loro centro avevano Claudio Abbado e il loro propellente finanziario nella Cassa di Risparmio.
Ma questa è storia ancora recente, anche se il ricordo, per esempio, della trilogia mozartiana brilla vivissimo. Ebbi poi due belle occasioni di ritorno, una dalla Cassa stessa per un premio quale ferrarese ad honorem e l'altra dal mio vecchio Liceo Ariosto nella sua nuova sede. Me ne aveva parlato, più volte, il suo progettista, Carlo Melograni, preside di Architettura a Roma, finché il preside Giancarlo Mori mi invitò, quale ex alunno, ad inaugurare con una prolusione un anno particolarmente importante, e mi trovai di fronte un complesso modernissimo, ricco di laboratori e di servizi didattici, immerso nel verde di via dei Piopponi e dintorni. «Teniamo aperta la nostra biblioteca fino alle 20 e facciamo fatica a mandare via gli studenti anche a quell'ora,? mi confidò il pre-side. Ripensai ai nostri severi e disagiati studi, magari nella sala d'aspetto o nei giardinetti della Stazione ferroviaria, quando perdevamo, a causa della quinta ora, il treno delle 13,30 e dovevamo aspettare quello delle 17. Anche questo era cambiato, per fortuna, a Ferrara. Leggo che nel 2003 il tasso di disoccupazione della provincia è sceso al 3,9 per cento, dimezzato rispetto a quattro anni prima e vicino a quello medio regionale attestato al 3,1.
Di strada, pure qui, se ne è fatta tanta.
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Num. 24