Quel cotanto ammirato disegno del palagio

Scritto da  Francesco Ceccarelli

Galasso Alghisi, prospetto di palazzo per Alfonso II d'Este, incisione di Domenico Tibaldi.Un progetto di Galasso Alghisi per Alfonso II d'Este e altre architetture ferraresi del secondo Cinquecento.

Il rinnovato interesse della critica nei confronti di Giovan Battista Aleotti, architetto argentano protagonista indiscusso di una lunga stagione progettuale a cavallo degli anni della devoluzione (1598), ha sollecitato un allargamento degli studi anche nei confronti dei tecnici che lo precedettero, lo affiancarono e talora gli furono concorrenti. Molti di loro furono celebrati dai contemporanei per la maturità progettuale raggiunta e la qualità delle opere concepite, ma la storiografia novecentesca non sempre ne ha riconosciuto il valore e l'originalità.

 


E'  questo il caso, tra gli altri, di Galasso Alghisi da Carpi (c.1523-1573), architetto ducale di Ercole II d'Este e poi di Alfonso II, una delle figure di maggior spicco nella Ferrara del secondo Cinquecento, dove ricoprì la carica di architetto ducale dal 1558 all'anno della morte (1573), quando fu sostituito nell'incarico dall'ancor giovane Aleotti.

L'Alghisi era giunto a Ferrara sulla scorta di un curriculum di prim'ordine. Aveva dato ampia prova di sé nella Roma di Paolo III per le fortificazioni di Borgo e sul cantiere del palazzo Farnese; si era poi recato a Loreto come architetto della Santa Casa e quindi a Macerata, dove aveva progettato il santuario di Santa Maria delle Vergini, una delle più interessanti chiese a pianta centrale di impianto bramantesco della metà del Cinquecento.
Per Vasari, che scrisse di lui quando questi operava ancora, Galasso fu impiegato a corte in sostituzione di Girolamo da Carpi, scomparso nel 1556, e si affermò come "uomo di bellissimo ingegno, e di tanto giudizio nelle cose di architettura, che per quanto si vede nell'ordine de' suoi disegni, avrebbe mostro, più che non ha, il suo valore, se IN cose grandi fosse stato adoperato."

 

 

Galasso Alghisi, prospetto di palazzo per Alfonso II d'Este, incisione di Domenico Tibaldi.Di questi apprezzati disegni soltanto uno è giunto fino a noi a testimoniare delle sue capacità compositive e delle ambizioni dei suoi committenti: si tratta di una splendida architettura incisa da Domenico Tibaldi che riproduce a stampa il prospetto di un magnifico edificio dagli originali connotati tipologici e formali. Al centro di un "foglio stragrande", come si espresse il Campori, campeggia, infatti, un monumentale palazzo composto da due corpi di fabbrica simmetrici che si elevano su tre piani raccordati da un doppio loggiato centrale architravato, a cinque campate, ornato da statue disposte al di sopra di una balaustra. Nella zona centrale della loggia superiore è collocato un vano di piccole dimensioni, dall'impianto quadrato, mentre al piano terreno due vaste aperture nei corpi di fabbrica laterali garantiscono gli accessi.

Tutta la superficie del prospetto è teatro di una vivace narrazione scultorea, entro nicchie e su targhe, carica di significati allegorici, che si svolge secondo un'articolazione dal ritmo trionfale.  L'immagine non passò certo inosservata e numerose sono le fonti, spesso encomiastiche, che registrano l'apprezzamento per quest'opera. Marc'Antonio Guarini, per primo, nel suo Compendio historico delle chiese di Ferrara del 1621, ne sottolineava il valore affermando che essa si riferiva a un ben preciso edificio che Alfonso II aveva iniziato a costruire nel centro di Ferrara e fu poi costretto a interrompere.

In un breve ritratto dell'Alghisi egli, infatti, riferisce di quel "Galasso architetto di grande esperienza, e fama, del quale si vede quel cotanto ammirato disegno del palagio, che il duca Alfonso Secondo, haveva proposto di sittuare sopra la Piazza, dove tuttavia ne apparisce una gran loggia, ed altri fondamenti tutti imperfetti."
Un disegno monumentale e grandioso, dunque, che va, molto probabilmente, messo in relazione con il progetto, affidato proprio all'Alghisi appena giunto a Ferrara, per rinnovare la quattrocentesca "loggia di corte IN piazza", ovvero il palazzo ducale e le sue adiacenze, che all'epoca risultavano ancora danneggiati dall'incendio della Sala Grande del palazzo di Corte, solo parzialmente riedificata tra 1535 e 1536.

 

L'ospedale dei Bastardini.Ben poco si sa di questo cantiere, che iniziò con grande dispendio di risorse nella primavera del 1559 e si arrestò pochi mesi più tardi per ragioni ancora imprecisate. Lo Scalabrini ne ricorda l'avvio "col disegno di Galasso Alghisi"  e parla di una "gran loggia di pilastri di marmo verso il Castello, che così doveva girare verso la piazza" e che successivamente era stata "ruinata" dal terremoto del 1570. Soltanto nel 1579, secondo le cronache dell'Isnardi e dell'Equicola, la loggia pericolante venne accomodata sul versante sud dell'odierna piazza Savonarola attraverso la creazione del portico che prese poi il nome di loggiato dei Camerini, ma a quell'epoca Alghisi era morto e la responsabilità progettuale di quest'opera utilitaria e di compromesso difficilmente può essergli attribuita.

Ben altro era, infatti, il disegno originario dell'architetto carpigiano il quale, con l'erezione del suo colossale palazzo, doveva rispondere a una complessa esigenza di riordino degli spazi di corte che avrebbe senza dubbio rivoluzionato in profondità l'assetto urbanistico dell'intero centro monumentale ferrarese, favorendo una vera e propria renovatio architettonica e funzionale dell'area a sud del castello. È possibile, inoltre, che quell'edificio fosse stato pensato per svolgere un'importante funzione pubblica, raccogliendo al suo interno le sedi delle magistrature che precedentemente erano alloggiate al piano terreno del palazzo di Corte e dunque poteva essere stato concepito come un moderno palazzo per gli uffici dello stato estense, secondo un modello che si stava affermando in molti stati italiani, da quello sabaudo a quello mediceo, dove proprio allora era in costruzione il palazzo degli Uffizi su progetto di Giorgio Vasari.

La complessa struttura architettonica disegnata dall'Alghisi e poi incisa da Domenico Tibaldi nel 1566, è stata analizzata da chi scrive in altra sede (Ipotesi per un palazzo estense, in "Quaderni di Palazzo Te", n.6, 1999, pp. 8-21). Senza entrare in considerazioni di dettaglio, va qui almeno sottolineata la volontà, da parte dell'architetto, di affrontare soluzioni tipologiche originali e la sua capacità di adottare con sicurezza soluzioni linguistiche di grande raffinatezza formale che rinviano all'esperienza della scuola romana di Bramante, mediata, forse, dal magistero di Girolamo da Carpi, cui l'Alghisi sembra idealmente allacciarsi in più di un'occasione.

 

La cappella di Renata di Francia. Dopo questo exploit progettuale, la cui memoria doveva essere perpetuata attraverso la stampa, l'architetto carpigiano fu tuttavia poco impiegato da Alfonso II, come lascia intendere il Vasari, e s'impegnò prevalentemente nella scrittura. La sua fama è, infatti, prevalentemente legata al trattato Delle fortificazioni (1570) dedicato a Massimiliano II, che eserciterà una notevole influenza sugli architetti militari transalpini di fine secolo. Le splendide tavole incise che arricchiscono il volume vennero senz'altro studiate anche in ambito ferrarese e assimilate nell'esperienza dello stesso Aleotti che, nel disegnare il prospetto della chiesa della confraternita di San Carlo (1616), avrebbe saldamente ancorato il suo progetto a quel bell'impaginato architettonico che il carpigiano aveva proposto sul frontespizio del suo trattato.

A Ferrara, anche il campanile della Certosa fu eretto su disegno di Galasso e forse si deve a lui pure il rifacimento tardo cinquecentesco del palazzo dei Diamanti, in cui si trovò a risiedere a lungo. Alcune fonti parlano di lui come del responsabile di importanti trasformazioni al Castello Estense dopo il terremoto del 1570 e non è escluso che una più attenta ricognizione delle architetture del tardo cinquecento ferrarese possa aiutare a riconoscere il suo apporto anche nella progettazione di altri edifici.

Ben poco sappiamo dei rapporti tra l'Alghisi e gli altri architetti attivi alla corte di Alfonso II d'Este (1559-1597). La sua cultura antiquaria si confrontò certamente con quella di Pirro Ligorio, che risulta attivo a corte tra 1569 e 1583, ma le fonti non consentono di precisare la natura dei loro contatti. Più intensi, forse, furono i legami con Alberto Schiatti, che sia l'Alghisi sia il Ligorio apprezzavano e stimavano, come veniamo a sapere da un memoriale di Alessandro Balbi. Ed è proprio lo Schiatti che pare risultare, nel più tardo Cinquecento, il più consapevole erede di quella cultura antiquaria che a Ferrara aveva le sue radici nell'operato di Terzo Terzi e di Girolamo da Carpi.

 

La chiesa di Santa Maria della Visitazione, o Chiesa della Madonnina.Le architetture di Alberto Schiatti meritano di essere studiate più a fondo. La sua esperienza diretta dei monumenti romani, che a detta del Balbi egli avrebbe direttamente disegnato e rilevato, lo mise in grado di rielaborare con originalità e consapevolezza il lessico degli antichi, dando prove di padronanza degli strumenti espressivi della propria arte. Il catalogo delle sue opere non è stato ancora precisato, ma le architetture che lo vedono protagonista sembrano più numerose di quelle che alcune fonti coeve segnalano come sue. Tra queste spicca la fabbrica dell'Ospedale dei Bastardini, eretta per volontà di Barbara d'Austria, il cui massiccio fronte laterizio ornato da acroteri e coronato da un frontespizio sopraelevato, si sviluppa longitudinalmente con austera sobrietà di mezzi e corretta disposizione delle partiture.

Altrettanta regolata moderazione troviamo espressa sul fronte di due edifici religiosi come la chiesa di San Paolo (il cui intero corpo di fabbrica fu probabilmente concepito dallo Schiatti) e la cosiddetta Madonnina, ovvero la Chiesa della Madonna della Porta di Sotto, che fa da fondale alla via Carlo Mayr, dove l'architetto si esercita in misurate considerazioni prospettiche risolte con sottili accorgimenti formali che sembrano riallacciarsi anche alla tradizione tardo gotica cittadina. Non è escluso che anche la facciata della Chiesa del Gesù (il cui originale assetto ad aula unica è peraltro frutto dell'ingegno di Giovanni Tristano) porti il contrassegno dello Schiatti, come vorrebbero alcune autorevoli fonti secondarie, spesso ben informate.

Apprezzato anche per la qualità grafica dei propri disegni, lo Schiatti potrebbe essere anche l'autore di alcuni dei disegni raccolti in quell'importante corpus recentemente ritrovato che è il codice Borromeo appartenuto all'Aleotti, a cui Costanza Cavicchi ha recentemente dedicato su queste pagine un'appassionata analisi critica. E, forse, proprio al suo ingegno sono dovuti alcuni dei più raffinati edifici civili realizzati per il patriziato ferrarese nel secondo Cinquecento, come il Padovani aveva ipotizzato quasi cinquant'anni fa.

 

La chiesa di Santa Maria in Vado.Maggiormente impegnati per la committenza ducale e le sue fabbriche, insieme all'Alghisi, risultano Marcantonio Pasi (prevalentemente impiegato in progetti di fortificazioni, ma documentato anche come architetto di fontane forse per le sue conoscenze idrauliche) e, soprattutto, Alessandro Balbi, l'autorevole "superiore della monitione ducale" che risulta presente in numerosi cantieri di grande importanza, dal Castello Estense alle delizie suburbane, impegnato in un continuo tour de force al soldo di Alfonso II, che richiederebbe di essere più attentamente indagato.

Due sono le architetture ferraresi del Balbi che sono giunte fino a noi in buone condizioni di conservazione: la cappella ducale nel Castello Estense e la cappella del Preziosissimo Sangue nella chiesa di Santa Maria in Vado. La prima, altro non è che la cosiddetta cappella di Renata di Francia, recentemente riconosciuta da Giuliana Marcolini come un sacro sacello edificato per iniziativa di Alfonso II in Castello proprio su disegno del Balbi, mentre la seconda ruota attorno alla gracile loggetta (Padovani) su cui è collocato uno slanciato ciborio a pianta ottagonale che definisce lo spazio all'estremità del transetto destro della chiesa di Santa Maria in Vado.

Le risorse lessicali, sintattiche e decorative adottate in questi due spazi circoscritti denotano una ricerca di preziosismi che tuttavia non sempre raggiunge la più felice sintesi compositiva. A differenza dello Schiatti, il Balbi rivela una maggiore incertezza nel portare a compimento la sua ricerca, pur sempre animata da curiosità antiquarie, che troverà, comunque, modo di affermarsi in forme più mature nella più significativa e complessa delle sue architetture, ovvero la chiesa della Ghiara di Reggio Emilia, avviata nel 1597 e memore delle riflessioni sull'organizzazione degli spazi religiosi a pianta centrale che aveva dapprima sollecitato le indagini di Girolamo da Carpi (chiesa di San Giovanni Battista a Ferrara) e poi di Galasso Alghisi (santuario di Santa Maria delle Vergini a Macerata).

Gli esordi dell'Aleotti avvengono in questo clima progettuale ancora solo parzialmente esplorato; ma possiamo augurarci che nuove indagini prendano presto il via, contribuendo a mettere maggiormente a fuoco la natura degli intrecci tra i diversi percorsi artistici di coloro che si trovarono a operare nei lunghi anni di governo di Alfonso II d'Este.