Il teatro, detto "In cortile", era proprio lì, con la scena di fronte all'attuale Sala Estense, a quel tempo cappella di corte: ce lo testimoniano fonti importanti e suggestive come la Cronaca di Bernardino Zambotti e il Diario di Ugo Caleffini. E secondo la Cronaca, in data 25 gennaio 1486, proprio in quel luogo presso la piazza la corte estense firma l'atto di nascita del teatro moderno con la rappresentazione de I Menecmi di Plauto tradotti in volgare.
Ercole I d'Este, insieme alla moglie Eleonora d'Aragona e ai due giovani sposi freschi di cerimonia nuziale, Isabella d'Este e Francesco Gonzaga, assistono alla rappresentazione da un palco sopraelevato, mentre una folla di diecimila spettatori partecipa all'evento "con taciturnità", nonché "con letizia, applauso e commendazione". Il Caleffini si diffonde in generose descrizioni della spettacolare scenografia, mentre il Diario anonimo, più cinicamente, dà notizia dell'entità della spesa sostenuta dal duca per la rappresentazione: 1000 ducati.
La storia del teatro a Ferrara dall'epoca di Ercole I a quell'opaco gennaio 1598, quando gli Estensi lasciarono Ferrara per Modena, è ritessuta da Massimo Felisatti in un gradevole saggio (A teatro con gli Estensi, Ferrara, Corbo Editore, pp. 118, lire 26.000).
L'autore non è nuovo a tali imprese. Appassionato di storia ferrarese, e con Ferrara nel cuore anche dopo la sua partenza per Roma, dove l'attendevano importanti incombenze televisive e cinematografiche, Felisatti, scrittore e sceneggiatore di pregio, si è occupato anche delle vicende pregresse e dei personaggi storici della sua città di origine in saggi, azioni drammatiche e sceneggiature per la tv (fra gli altri, Ferrara nella Repubblica Cispadana, Storia di Ferrara, Isabella d'Este, Baruffino Buffone, Il caso Don Minzoni), confermando la diffusa persuasione che per osservare e valutare una situazione è necessario inquadrarla prendendo distanze geografiche e sentimentali.
In questa circostanza, ha recuperato dallo scaffale della sua libreria la tesi di laurea in storia del teatro, appunto sul teatro rinascimentale a Ferrara, e con sensibilità ulteriormente forgiata dall'esperienza nel mondo dello spettacolo, ha affrontato il duplice percorso della memoria storica e personale.
Nel saggio cui ci si riferisce, Felisatti rileva con lucidità la straordinaria novità del teatro rinascimentale estense individuandone quali caratteristiche innovative alcuni elementi connotanti: la dimensione pubblica dello spettacolo, l'apposito allestimento scenico, realizzato facendo tesoro delle più avanzate tecnologie, l'impiego di attori in costume e della lingua volgare.
E ciò colpisce se si considera che, ancora nel 1502, a Roma, durante i festeggiamenti per Lucrezia Borgia promessa sposa di Alfonso I d'Este, gli stessi Menecmi plautini venivano rappresentati in Vaticano in sede privata ("IN la camera de Nostro Signore") e in dimesso contesto ("senza mascare, et non gli era scena alcuna"), insomma "non...con multa gratia".
Anche in campo musicale la corte di Ercole I brilla per straordinaria sensibilità: uno dei primi atti di governo del duca è l'istituzione di una cappella di canto. Anche se è necessario accogliere la constatazione con prudente misura, durante la guerra con Venezia il cronista Caleffini si lamenta che "el populo era mezo desperato, el duca sonava et cantava".
È importante considerare che da quella rappresentazione gli spettacoli teatrali sotto l'egida della corte ebbero nei fatti, in città, continuità fino alla fine del secolo XVI, in prossimità della devoluzione di Ferrara allo Stato Pontificio. E fra i teatri utilizzati non si può non ricordare quello ideato fra il 1530 e il 1531 da Ludovico Ariosto, grande protagonista del teatro rinascimentale, costruito completamente in legno in via Miranda con una scena stabile di straordinaria suggestione. Ma, ahimè, esso bruciò prestissimo, mandando in cenere e al vento un'ulteriore prova di quanto la sensibilità teatrale ferrarese fosse all'avanguardia.
Felisatti ha la grande capacità di contestualizzare questi eventi nella realtà quotidiana di secoli che, accanto a occasioni di straordinaria portata culturale, non lesinarono certo violenze, soprusi e iniquità. I suoi giudizi tengono conto con equilibrio delle diverse e multiple anime di una delle stagioni più importanti e complicate della cultura occidentale. E, acutamente, analizza i significati e la valenza simbolica della forma spettacolare.
Lo spettacolo serve al duca come rappresentazione del proprio potere attraverso la munificenza: per questo deve essere pubblico, e più spettatori si contano, con maggiore evidenza emergono il prestigio e l'autorità del signore. Il duca e la sua famiglia si degnano di condividere con il popolo occasioni di allegrezze che potrebbero riservare soltanto a sé, ma vi assistono dall'alto della tribuna, mostrandosi nella fulgida eccellenza e nell'irraggiungibile sublimità della loro autorità, spettacolo nello spettacolo.
Un altro livello di esibizione è offerto dalla corte delle dame e dei cavalieri, che in tali occasioni sfoggiano abiti e gioielli di straordinaria eleganza, osservandosi ed essendo osservati. Tutto questo concorre a far comprendere il perché attorno al 1593 scoppi un vero e proprio caso politico fra il duca di Ferrara e quello di Mantova per la precedenza nella rappresentazione de Il Pastor Fido di Giambattista Guarini. Ed è ovvio che simili occasioni di aggregazione fornissero anche fertilissime e ghiotte opportunità di furti ai lestofanti che attraverso i secoli non mancano mai: così, disincantatamente, Felisatti rileva e documenta come durante la rappresentazione dell'Eunuco di Plauto, nel 1499, risultarono rubati cinque pezze di panno e tre raggi che costituivano parte degli ornamenti, tagliate "borse, scarselle, mazzi di tessuti" e rubati denari.
Sarebbe, tuttavia, riduttivo e storicamente ingeneroso non tener conto dell'autentica passione che coinvolge, insieme alla corte, nobili e popolo nella ricerca del godimento artistico. L'autore non manca di rilevare la straordinarietà della scelta del principe che offre al popolo e ai cavalieri spettacoli colti, realizzati con rigore e profusione di mezzi, anziché propiziarsi il consenso con più facili spettacoli circensi.
La fertilissima stagione del teatro estense si compie con la definitiva partenza di Cesare d'Este per Modena. Dopo gli ultimi fuochi dell'Aminta del Tasso e del già citato Pastor Fido, Ferrara, passata alla Santa Sede, rimane "come un piccolo podere" (Guarini).
Percorrere assieme a Massimo Felisatti poco più di un secolo di scena rinascimentale ferrarese equivale a indagare da un osservatorio inusuale la parabola delle vicende e del potere di una dinastia, accreditando la persuasione che in quest'epoca, come forse in tutte, il teatro possa davvero considerarsi metafora della vita.